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Manuale del podismo

anno 1913 o giù di li, sbrodolata ispirato dal bel manuale di Arturo Balestrieri e dato dalla Fidal di conoscere a tutti chi vuole, basta andare sul sito Fidal. Grazie a Marco Martini che ha curato l’introduzione e le note (grazie a Balestrieri e grazie alla Fidal e grazie a Marco Martini)

Il manuale del Balestrieri poi va a toccare il tasto dello stile e della tattica di gara. Si va a dire che, per diventare dei campioni di specialità bisogna acquisire assolutamente un buon stile. Lo stile, un buon stile, è considerato bagaglio essenziale e che tutti chi aspira a diventare campione deve possedere. Si dice che nelle nazioni che eccellono nel podismo, prima di mandare un loro atleta a gareggiare, prima deve assolutamente imparare lo stile corretto, a seconda la specialità, dovessero passare anche anni. Il motivo è che, si va a dire che, un buon stile di corsa consente di risparmiare un bel po’ di energia, esatto, di praticare il gesto e le movenze della corsa a piedi che se bel stile, a parità di velocità si fa con meno fatica, visto che il miglior stile ha bisogno di meno energia e per viaggiare alla stessa velocità di un atleta con scarso stile. Anche qui si va a dire, che però, se il voler far imparare lo stile più bello, se questo va a togliere la naturalezza del passo e della falcata del giovane atleta, la cosa non serve. Correre con l’assillo dello stile, toglie più energie, specie mentali, dei vantaggi che porta. Si dice che, esatto, i campioni sono quelli che non hanno dovuto imparare lo stile, quelli che a correre con stile, esatto, quelli che lo stile lo hanno avuto in dono dalla natura, è tra questi che nascono i campioni.(che poi non è sempre così, anzi, spesso si vede che tanti vanno a vincere e che hanno meno stile di chi gli arriva dietro. La corsa a piedi deve essere quella che viene di natura risparmiosa, deve essere perchè è tuo modo naturale di correre, non bisognerebbe imporsi in gara di correre con uno stile accademico, quello, se vai a importelo in allenamento, e magari, allenamento e dopo allenamento, senza fretta, magari, ci riesci e ti riesce anche di far diventare il tuo modo di correre anche un bel stile accademico. Ma ricordate, il segreto della corsa a piedi è quello che bisogna correre senza disperdere energie eccessive, per far muovere motore leve e ingranaggi che si usano a correre, e compreso la testa) Poi, le pagine del manuale, si va a distinguere tra corse su pista o su strada, e in fatto di registrare i record su tal distanze gara. Ai tempi, le strade non asfaltate mostravano che non era pari situazione gara con strada piena di buche e con la pioggia, con gara senza buche e asciutta. Ai tempi questa cosa ci tenevano molto? Ci tenevano a parità di opportunità e di situazione? Per me, forse molto più di adesso (questo che la storia di Dorando Pietri, come la raccontano mi convince poco. Ai tempi, e specie a Londra, i regolamenti li conoscevano, li conoscevano bene, li hanno inventati loro i regolamenti) Detto questo, vanno a dire che, la soluzione adottata per registrare i record di specialità, anche se non ottimale quello delle gare in pista, è però la situazione meno penalizzante. Della pista si va a dire, e ripeto siamo a 1 secolo fa, di questo si va a dire che le gare in pista hanno due situazioni che stanno a avvantaggiare l’uno rispetto a l’altro. Però, sono due mali considerati minori rispetto ai mali della strada. Per il manuale, entrambe i due mali della pista, stanno nelle curve che, ai tempi, essendo un ovale, ci stavano posizioni più svantaggiate di altre. Anche a quei tempi si cercava di trovar modo di non penalizzare e che tutti gli atleti avessero pari difficoltà. Nel senso che, chi deve fare curva più larga per presentarsi in dirittura finale d’arrivo, a l’ultima curva deve accelerare più violentemente rispetto a chi sta in corda, con la conseguenza che non ci sta parità di sforzo. Ma stessa cosa è il correre in corda, che per via di stare in corsia, una gamba lavora differentemente de l’altra, causando uno squilibrio che bisogna consumare energia per rimanere in assetto equilibrato. Si va a dire che, visto l’importanza dei record, sarebbe stato meglio fare le gare su strada dritta e senza curve, ma visto che è cosa praticamente irrealizzabile, e visto che al chiuso, in uno stadio, si può anche far pagare ingresso agli spettatori che vogliono assistere alle gare, ecco che, si dice che la pista è il male minore. Però non tutte le piste erano ritenute credibili, ai tempi di inizio secolo solo tre / quattro piste e solo di quelle tre / quattro città si tenevano valide per omologare record di specialità, in quanto le piste di altre città non erano ritenute con misure certificate, e che, alle rilevazioni e ai tempi cronometrici, non ci stavano persone affidabili. Per quanto riguarda la condotta di gara, la tattica di gara, è n’è più e n’è meno come adesso. Se si ha un buon sprint finale, il manuale va a dire che, da sciocchi stare davanti a tirare. Se si ha sprint secco, con rapidissimo cambio di velocità, basta stare dietro al primo e gli ultimi trenta metri cercare di superarlo. Se si ha un buon sprint, ma con cambio ritmo non rapidissimo, iniziare a fare volata lunga e ancora iniziando dai ultimi trecento metri. Se non si è dotati di sprint finale, tenere il ritmo alto, quello che si pensa di riuscire a tenere per tutta la gara, e sperare che chi veloce, non sia altrettanto in forma, e questo di tenere il ritmo alto, sin da l’inizio. Se poi si vede che non si riesce a distanziare di molto gli avversari che seguono, vanno a dire di tattica un po’ più raffinata, il manuale dice: se non si riesce a distanziare di molto chi segue, inutile continuare, meglio farsi raggiungere, e per poi, una volta esser stati raggiunti, fare nuovamente l’accelerata, magari questo per due o tre volte, in modo da mandare in crisi gli avversari, che avendovi raggiunto, poi pensano di tirare fiato, mentre il vostro nuovo scatto li disorienterà mentalmente e li demoralizzerà. (magari fosse così semplice e anche adesso, adesso ti lasciano fare quello che vuoi li davanti, adesso tutti sono a conoscenza che i cambi di ritmo insensati logorano solo chi li fa, non ti vengono dietro come dei saiotti, non ti dice niente la storiella di Steve Prefontaine alle Olimpiadi di Monaco ’72?) Poi, se non siete uno di questi tipi di atleti, esatto, che siete scarsi in tutto, beh, state a casa e dedicatevi alle tapasciate. Non c’è niente di più penoso vedere girare in pista atleti che vanno più lenti di 4’30” akm. La pista è spettacolo da godere per chi guarda, la pista non deve indurre a compassione. Esatto, tipo il sottoscritto, che di tattica di gara magari conosce anche, ma se conosci di tattica di gara ma non ci stanno le qualità, il destino è segnato, sono solo che le tapasciate. Dove alle tapasciate, qualche volta mi è anche andata bene, esatto, nel senso che fortuna ha voluto che chi in gara, esatto, a qualche gara ci stavano tutti più tapascioni del sottoscritto e qualche sportina di categoria l’ho pure beccata, per dire, a 50’anni ho avuto la fortuna e il modo di beccare anche più di 25 sportine di categoria. Si va a dire che (ricordo che siamo inizi secolo scorso) difficilmente i record si vanno a battere in gare importanti e con partenza alla pari, nel senso che, a gara così, già basta essere primo posto, vincere la gara, al tempo finale non si guarda affatto, esatto, l’importante la vittoria. Si dice che è più facile stabilire un record in gare a handicap, dove i più scaccioni partono con vantaggio dato dalla loro riconosciuta scacciosità, e chi è forte, parte dietro o parte dopo, e questi forti, per far presto a raggiungere chi è partito prima o davanti, si impegna di più e per raggiungerlo più in fretta, prima che lo scaccione tagli lui il traguardo. Ecco che, ai tempi dei primi anni del secolo scorso, spesso e volentieri, i record venivano fatti registrare nelle gare a handicap. Adesso, la moda, sono le lepri bipedi. Quel che mi colpisce è che, in questo manuale è fortemente sconsigliato di bere immediatamente prima della gara e in gara, e anche se di lunga distanza, (proprio è cosa che sconsigliavano quella di bere molto. Così come consigliavano di correre solo dopo essere stati in bagno e all’occorrenza prevedendo un lassativo le ore che precedevano la gara, e di questa cosa del non bere e del andare a gagare prima della gara se ne parla a più riprese nel manuale) e se proprio la sete reclamerebbe un po’ d’acqua, meglio un goccio di caffè freddo allungato con acqua. Mi fanno sorridere quelle donne e quei uomini bardati di tutto punto, nient’altro che tapascioni, che vanno a piano, che però hanno sempre la loro bottiglietta appresso e anche se fanno solo 8km di corsettina. Ma di donne ne vedo anche a camminare e tante con la loro bella bottiglietta bene in vista. Si va a dire che, una volta che hai bevuto un sorso di acqua, è inevitabile non riuscire più a tenere il ritmo, si inizia a andare in calando. (non so a questo proposito quale è l’orientamento ai giorni nostri, di certo ce ne stanno chi per un niente perde la gara e perchè ha ingerito troppi liquidi, cercate di capire: dico troppo non va bene, ma una giusta idratazione porta vantaggio) Vedo che già più di 1 secolo fa, tenevano, e giustamente, tenevano molto in considerazione il costo energetico a compiere azioni di gara sconsiderate, esatto, ci tenevano molto a non consumare preziose energie. Già ai tempi, già più di 1 secolo fa, vivisezionavano la gara, a seconda la specialità, e a secondo della specialità ti dicevano a che ritmo correre tal frazione, che se gara di 400mt piani, ti dicevano in quanti secondi dovevi fare le frazioni di 100mt, e calcolando che verso alla fine, gli ultimi 100mt, si perdevano inevitabilmente 2/3 secondi rispetto alle frazioni dei 100mt precedenti. Stessa cosa delle medie e lunghe distanze, che ti dicevano in che tempo dovevano essere fatte le frazioni di 1 miglio. Magari averceli adesso questi studiosi della corsa a piedi, sai che con le conoscenze scientifiche del corpo umano che ci stanno adesso, sai di che bel manuale sarebbero capaci, altro che i tecnici blasonati di adesso, altro che Atletica Studi di adesso. Altra cosa che mi ha colpito, (perchè per me è difficile da mandar giù, ma poi, Lydiard ha dimostrato il contrario, esatto, che sono i grandi carichi di lavoro a fare l’atleta. Se 1 secolo fa ci stavano tempi finali di tutto rispetto, per me riguardano solo gare fino a 5000mt, ma se vuoi far bene su distanze più lunghe, il manuale di Balestrieri, non è il massimo da seguire) è che dicono, mai e poi mai faticare per preparare una gara, a una gara di 20km, era proibito fare allenamento tutti i giorni, e fare più di 14km a seduta e una volta ogni due settimane, altrimenti lo schema di allenamento era a giorni alterni e al massimo una decina di km a seduta di allenamento. Per una gara di 5 miglia, i nostri 8km, fare allenamento tutti i giorni e senza mai fare più di 4km di allenamento, che logico, doveva essere fatto di corsa a un buon ritmo. E poi, una volta la settimana, fare la distanza della gara, e sempre a buon ritmo, ma non ritmo gara. Dicevano che a faticare in allenamento e specie per preparare gara di lunga distanza, non aveva senso. Dicevano che un allenamento di 15km e a buon ritmo, ci sarebbero volute delle settimane a recuperare lo sforzo, col rischio e pericolo di presentarsi in gara fiacchi, con energie un po’ consumate. Poi, il manuale parla delle corse campestri, il cross country, ma la storia del gioco della caccia alla lepre, fatto dai bipedi, e inventato in Inghilterra avevo già sbrodolato. Altra cosa, si va a dire che, la partenza a quattro appoggi che adesso ci sta alle gare di velocità, è stato ispirato probabilmente dai nativi australiani, gli aborigeni, e anche dai nativi americani, gli indiani d’america, tribù e popoli che hanno copiato il fare lo scatto osservando gli animali. Osservando quando i felini fanno scatto per raggiungere la preda. A questo scopo, si consigliava gli istruttori, che ai loro giovani atleti della velocità, per una buona partenza, farli allenare assieme a l’amico quattrozampe. Dove il cane, con le sue quattrozampe, in partenza era sempre più veloce del bipede velocista. Anche se a quel tempo c’era chi diceva che una partenza su due piedi, e scavando una piccola buca, (ricordo che a inizio del secolo scorso la pista era nient’altro che fatta di terra battuta alla meno peggio) per metterci dentro un piede, in modo di avere un appoggio sul quale poi darsi una spinta, qualcuno diceva che tal sistema aveva il vantaggio che si partiva di 15cm più avanti e che si risparmiava, minimo, 1 secondo e dovuto per raddrizzarsi, quando la partenza è a quattro appoggi. Quello che mi ha colpito, il loro minuzioso studio e di tutte le specialità. Ti spiegano passo passo il modo di allenarsi per tal specialità. Allora vado a pensare, sai che averceli adesso quei atleti, e se riuscivano a fare quei tempi e che era 1 secolo fa, e con la non completa conoscenza del corpo umano e dovuta per essere indietro di 1 secolo, sai che a averceli adesso. Poi, la leggenda dice che, il termine maratoneta è da attribuirsi a Gabriele D’Annunzio, e che parlava a proposito di Dorando Pietri. Prima che D’Annunzio coniasse tal termine, era d’uso il termine maratoniani. Mentre già allora, ai primi del’900 il Balestrieri diceva che, il podista non sta nei piedi, ma sta nella testa, anzi, o meglio, diceva: il podista deve avere la testa ai piedi. Questo manuale di 1 secolo fa, mi va a confermare che, man mano, col passare dei decenni, l’animale homo sapiens diventa sempre meno atletico, (esatto, come è evidente il ritiro dei ghiacciai anno dopo anno) e la curva è iniziata a precipitare da l’avvento della mentalità delle comodità, e che adesso, i risultati, un atleta li ottiene e grazie e solo a una maggior conoscenza, compreso di farmacia? ma, e di sicuro, non per via di maggior atleticità acquisita? Personale opinione e personale parere del sottoscritto. Alla prossima sbrodolata, però, cambio libro e anche argomento. (mauro)

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