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storiella dei tempi passati, di quando il cronometro non comandava gli hobbysti della corsa a piedi

Mezzo secolo è passato da l’avvento delle prime corse a piedi domenicali, quelle a passo libero, quelle che partecipava spesso l’intera famigliola, quelle che erano anche chiamate le Marce. A gli inizi, ai primordi erano delle non competitive (le competitive erano riservate ai runner allenati, dove il più lento viaggiava minimo a 4minuti a km, ma niente questo, anche lì ci stavano le serie a non confondere i più forti con il resto) dove a volte erano premiati i primi tre, di donne non se ne parlava (che prendo occasione adesso, perché ieri ho fatto grande e grave dimenticanza, parlando di chi ai tempi, di chi dei bresciani aveva dato lustro a la gara di maratona, mi sono madornalmente dimenticato di una grande e forte atleta di maratona, una donna, la zia di tutte le runner che son venute dopo, esatto, la Valentina Bottarelli, che ha vestito anche la maglia della Nazionale Italiana, dove il suo personale in maratona è 2h35’57’’ fatto a Londra 1987. Cari maschietti, chi di voi è capace a far altrettanto, adesso come adesso, a Brescia e provincia non so se ce ne stanno almeno una decina. Ma per dire, la Valentina Bottarelli: Campionessa Italiana Assoluti di Corsa In Montagna, anno 1986, a quella stessa gara ha beccato anche medaglia Argento Mondiale, dietro solo alla francese Olivia Gruener. Solo di poco che non è riuscita a beccare tutti e due gli ori. Ma 1oro italiano e 1argento mondiale, qualsiasi runner ci farebbe la firma. Ma non solo, a squadre, nel suo invidiabile palmarès anche quattro medaglie mondiali di vario metallo nella Corsa In Montagna 1Oro / 2Argento / 1Bronzo. Dati che ho preso da Wikipedia) Il primo cambiamento che si è potuto notare è stato a cavallo di fine anni ’70 e inizio anni ’80. Sono di quel periodo le prime riviste che parlavano di corse a piedi. Dopo, a ogni anno, e nonostante i giornalisti contro, nonostante i sedentari da bar contro, gli automobilisti invidiosi, nonostante tutto, il movimento podistico andava in crescita di praticanti e di appassionati e hobbysti del correre a piedi. Da prima una crescita lenta in fatto di numeri, ma non di performance gara. Poi, col nuovo secolo, primi anni 2000, passando da pratica di podismo, diventato il fare running, il vanto di esser definiti e di dire sono un runner, la crescita dei praticanti la corsa a piedi è diventata pratica con numeri in crescita (compreso le donne, che dal 2010 a arrivare a adesso sono più che raddoppiate a praticare la corsa a piedi) esponenziale e anno dopo anno. Anche se, anno dopo anno diventando runner italiani con performance gara in calo. Ma dal passare a chiamare le gare domenicali, le ex Marce, adesso chiamarle Run. Chiamare adesso la stesso identica cosa, chiamarla Run, sembra diventata cosa che ha a che fare con lo sport. Esatto, cambiando nome, facendolo diventare Run, adesso, tanti e tanti di chi corre a piedi crede di essere diventato uno sportivo. Non confondiamo la corsa sportiva con la tapasciata, che poi non è la corsa, è la persona è come si interpreta la corsa a piedi. Se si interpreta la corsa a piedi come un hobby, o se si interpreta la corsa a piedi come uno sport. Se si interpreta come uno sport, la corsa a piedi è solo che competitiva, non me ne vogliano i tapascioni. (non competitiva con sport ha poco a che fare. Non competitiva non è fare una gara sportiva, è fare attività motoria) Ai primi anni ’70 la cosa, la distinzione, non era in discussione, ci stava una netta distinzione e selezione tra i due modi di interpretare la corsa a piedi, ci stava il tempo max a dire se eri un competitivo o un non competitivo, se eri uno sportivo o un hobbysta. Fuori dal tempo max, eri solo che un hobbysta. Solo il business di quelli col bernoccolo degli affari ha modificato la corsa a piedi, dentro tutti, chi corre e chi cammina, una unica famiglia. Questa cosa ci stava anche nelle Marce degli anni ’70, dove dentro tutti, ecco che, da le gare Fidal dove ci stava la qualità, i runner seconda serie, iniziavano a disertare le gare Fidal e per andare a beccare la sportina alla Marce. Dopo, (dopo visto che questa cosa era modo per attirare clientela e partecipanti) si è dato il via alle categorie, alle sportine di categoria. Sai che ci stava una gara in periferia della città, dove si premiavano fino a venti di categoria, esatto, era diventata una delle gare più partecipate de l’anno, esatto, con premiazione lunga, tanti a partecipare e sperare di beccare la sportina, tanto che, il sottoscritto faceva anche fatica a rientrare dentro, qualche anno è rimasto fuori, e se gli andava bene, beccava la sportina del quindicesimo posto o giù di lì. Che in gare dove ne premiavano solo tre di categoria, spesso il sottoscritto beccava quella del terzo posto, ma non in virtù della performance gara, ma solo perché ci stavano pochi partecipanti di categoria. Detto questo, rileggendo le lettere delle riviste di più di venti anni fa, diverse sono le lettere che hanno nostalgia delle vecchie Marce, quelle senza kilometraggio esatto, quelle senza tempi finali, quelle senza burocrazia e così via. Chissà chi ha scritto quelle lettere, cosa è che scriverebbero adesso, passati altri venti anni dalla loro lettera, che adesso la situazione è burocraticamente più invadente, dove i partecipanti sono più invadenti e pretenziosi. Tra le tante, vado a pubblicare interamente quella di Matteo Piombo, che tanti di voi, questa firma la conoscono. Matteo Piombo a quanto scrive deve essere un mio coetaneo, o giù di lì, gli inizi sono stati gli stessi, o quasi gli stessi. Matteo Piombo, ripercorre la sua storia con la corsa a piedi. Correre a piedi, a 15 anni era vista come una sfida (la corsa a piedi a meta del 1700 è nata in Inghilterra proprio come una sfida e un gioco. Sport lo è diventato proprio con le prime olimpiadi moderne, esatto quelle famose che per far favore a tal re, è stato fatto fuori in nostro Carlo Airoldi, che con una gabolata, hanno trovato modo di escluderlo e per far vincere un ateniese, esatto cosa premeditata e studiata a tavolino) Alla domenica mattina ci si alzava e si andava con gli amici a fare la marcia non competitiva, dove cinquecento persone partivano con ritmi diversi e arrivavano al traguardo, di solito lo stesso punto della partenza. Era bello scoprire posti che non si conosceva, percorsi sempre diversi, con asperità, in mezzo al bosco, i prati, la parte vecchia del paese, panorami, cocuzzoli della montagna. Tanti erano gli organizzatori alle prime volte che inserivano anche tratti “pericolosi”, oppure, attraversare fossi, passare dai cortili dove era stesa la biancheria da far asciugare, nelle aie dove ci stavano gli animali da cortile. Ai tempi si partiva quasi tutti senza orologio (badate bene ha scritto orologio e non cronometro. Eppure ci stava chi le gambe le faceva andare, ai tempi contava molto di più il divertimento e il bel giro che vedere il passaggio al km, anche perché non erano mai segnati e se erano segnati, erano segnati come fa il sottoscritto, con l’elastico. Però, si divertivano, eccome si divertivano. Persa dalla canzone del grande Guccini: …tu mostri adesso le tette al vento io lo facevo già vent’anni fa …) Allora il tempo non contava, la sfida era battere l’amico (il sottoscritto aveva riiniziato a correre a piedi proprio per una sfida con il Giacomo. Calcinato anno 1987. Non serve dire che il sottoscritto la sfida l’aveva persa) A l’arrivo a aspettare l’amico e a dirgli: t’ho dato 1km, e l’altro: che dici se ti ero dietro nemmeno venti metri. Dei due non si sapeva mai chi era più vicino al vero. Si fantasticava di tempi favolosi, che poi, in pista non si riusciva però mai a fare. Dopo, anno dopo anno le cose iniziavano a cambiare, da l’improvvisazione si stava passando a l’organizzazione. Ecco che, anche chi partecipava, non erano più improvvisati, di colpo, erano state introdotte le famose tessere. (non più hobbysti della corsa a piedi, ma di colpo, per burocrazia, diventati podisti. Non è una tessera in tasca a farti divertire o no a una corsa a piedi, non è che con una tessera in tasca corri più forte. La tessera in tasca ai podisti gli serve a chi sta dietro le scrivanie dei piani alti, per fargli mantenere il carrozzone dove ci stanno loro a comandare, e logico, per i loro rimborsi spesa, nei vari viaggi e nei vari hotel) Si è man mano passati a guardare ossessivamente il cronometro a ogni km, il cronometro a dettare la gara e non più la sfida con l’amico a essere il divertimento. Col cronometro al polso, anche il percorso doveva essere misurato al centimetro (una volta 10km poteva voler dire 8km come 15km, i partecipanti correvano senza cronometro, il bello era la compagnia e la sfida, il tempo finale non era un’ossessione, la distanza e la lunghezza della gara era l’ultima cosa, era una sorpresa) Ecco che il motivo di viaggiare a cronometro ha dato il via a esser fonte di lamentele. Commenti spesso e volentieri incentrati su km corto o km lungo. Oggi mettono cartelli a ogni km, sai sempre quanto manca a l’arrivo. Tutto ben organizzato, tutto più serio, ma siamo sicuri che è davvero tutto più bello di una volta? Magari non è che adesso ci siamo persi qualcosa o qualcuno? (per qualcosa il bello del godere il percorso, il bello di correre in compagnia, per qualcuno probabile che intende quelli improvvisati, quelli senza tessera e senza visita medica) Sono sempre stato (è Matteo Piombo che parla) un podista alla ricerca del migliorare la mia caratura e anche nelle non competitive volevo conoscere i minimi dettagli in modo di valutare la mia gara. Ma a volte mi domando se qualche volta non sarebbe bello ritornare a assaporare il clima e l’atmosfera che ci stava ai tempi de l’improvvisazione, ai tempi del divertimento (il divertimento va all’opposto del farsi vedere a corsa modaiola. Che alla modaiola si fanno sacrifici e solo per poter vantarsi di esserci stati) A volte mi chiedo se non sarebbe bello a partecipare ancora a qualche corsa senza cronometro e km e premiazioni, solo così, per il piacere di correre in un bel posto. Questa cosa magari ci farebbe riscoprire e ritrovare quello spirito adesso oramai lontano. Cioè, dove partecipare a una corsa a piedi come un attività essenziale della vita quotidiana, la stessa cosa di bere, mangiare, dormire e respirare. Cose che facciamo ogni giorno e senza cronometro, perché sono cose che abbiamo dentro, sono la nostra vita. (diamo modo alla nostra vita, una volta ogni tanto, e di esprimerci in una cosa, come ci va di fare al momento, e di non star a controllare tutto e tutti e di pensare cosa diranno gli altri) Proviamo ogni tanto a lasciare a casa il cronometro e a uscire con qualche amico anche se va più lento di noi, magari è un altro modo di correre, diverso, però, di certo, non è meno bello. PODISMO n°263 anno 2000. Matteo Piombo, tante e tante volte che scrivi cazzate e come il sottoscritto, però, questa tua lettera la condivido, la condivido 100% -continua- (mauro)

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