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le meravigliose storie del ultratrail, la storia di Geoff Roes

geoff roes in azione.
ho scelto questa photo, perchè? esatto, per il numero 11, il mitico Abebe Bikila con tal numero di pettorale ha vinto la gara di maratona alle Olimpiadi di Roma 1960

Visto che le storie dei runners che amano la corsa a piedi non a minuti e a ore, ma a giorni, sono belle storie, dopo Marco Gazzola, vado a dire  e a sbrodolare qualcosa di Geoff Roes, nominato anche l’ultratrailmanrunner americano del l’anno 2009. (la rivista è un po’ datata, anno 2010) La storia, la inizio, parto da una domanda che gli è stata fatta: ma quale è il segreto del tuo correre forte nel bosco e in montagna? Geoff, risponde allo stesso modo di uno dei più famosi mezzofondisti, americani e non, e di tutti i tempi. Esatto, da risposta come aveva dato ai suoi tempi Jim Ryun (chi ha un po’ di capelli argentati in testa e è appassionato di atletica, sicuro che sa di chi parlo) che aveva risposto: il segreto è il Kansas, una terra dove si gela l’inverno e si muore dal caldo d’estate. Allenarti in queste situazioni, devi abituarti a dare sempre qualcosa di più rispetto a chi si allena in condizioni di clima migliori. Correre in brutte situazioni climatiche mi ha abituato a stringere i denti e a resistere alla fatica e tener duro e fino a quando gli avversari mollano. Geoff, stessa cosa, risponde: il segreto è l’Alaska. Già buon runner e di buona di caratura, per lavoro si era dovuto trasferire in Alaska e, per passare il tempo e praticare il suo hobby, grazie ai sentieri e alle montagne di quella terra in meno di 1 anno è diventato uno dei trailmanrunner più forti d’America. Cresciuto a New York, mai avrebbe pensato di resistere più di tre mesi in Alaska, in quella terra, isolato, tra mare sentieri bosco e montagne. Pensavo che dopo, dopo terminato il contratto di lavoro, di non rinnovare e di ritornarmene in città. Invece, è capitato che è sbocciato l’innamoramento per quella selvaggia terra. Un posto dove non si vedono quasi mai le belle giornate, i più dei giorni de l’anno, esatto, un continuo piovigginare e neve. Freddo che arriva anche a 40 gradi sotto zero. Però, terra dove ci sta ancora natura selvaggia e incontaminata, tante montagne tanti boschi e tanti sentieri, la natura lì è ancora un paradiso. (magari per adesso, riparliamone tra 1 secolo. Se non si inverte la rotta, se non si abbandona la logica del consumismo, diventati a 15/20 miliardi di infestanti homo sapiens, poi mi saprai dire. Spero di sbagliarmi, ma è sotto gli occhi di tutti che il Pianeta Terra è quel che è, e non può ingrandirsi, al massimo può ospitare la metà della popolazione che siamo arrivati a diventare perchè non si è seguito il ritmo di Madre Natura. Stravolgendo con la farmacia il ritmo di Madre Natura, si è stravolto completamente l’equilibrio che invece ci sarebbe dovuto stare. Col risultato che, più passano gli anni più il vivere è più difficile e con la conseguenza che si vive peggio. Spero che tal Coronavirus non sia un modo inventato dagli homo sapiens per sfoltire un po’ di popolazione e arginare il sovrappopolamento) Geoff Roes in Alaska lavorava come cuoco e era un posto dove ci si arrivava solo o via aereo o via nave. Chi glie lo aveva fatto fare di andare in quella terra sperduta? forse complice la vita caotica e stressante della megalopoli? Sta di fatto che quando si è presentata occasione di andare in posto di territorio di natura selvaggia, aveva pensato che era occasione di staccare la spina per qualche tempo e di andare a rigenerarsi lontano da inquinamento di tutti i tipi (che l’inquinamento non sono solo smog e rifiuti gettati a terra) Era arrivato in breve periodo di fine estate, un paio di mesi su dodici, dove il chiaro rimane per quasi 24h a fila, cosa che, ne hai di ore e ore di correre sui sentieri delle montagne e dei boschi che stavano vicino. Dopo un paio di mesi di uscire a correre sentiva il suo corpo che si stava rigenerando, si sentiva che stava meglio, e poi, nessuna distrazione, l’unico passatempo era correre nel bosco e seguire la tabella di allenamento. Dice che adesso, quando in occasione di qualche gara ritorna giù negli stati popolosi dell’America, dopo qualche giorno gli viene subito la voglia di ritornare in Alaska, sente già la nostalgia. Anche se è un vivere senza nessuna comodità, e che invece, comporta anche sacrificio. Dice che, l’Alaska è quella terra che ti allena a sopportare fatica e sacrifici, ti allena a non mollare alla prima difficoltà che incontri. Che ti insegna le cose importanti della vita. (ma poi, carissimi, è la stessa identica cosa dei runner degli altipiani africani, che televisione e frigorifero e corrente elettrica, esatto, non sanno che cose sono, o meglio, lo sanno ma non le possiedono. Pensa te, caro runner occidentale, che in Africa, in tanti posti sui monti degli altipiani è ancora così. Esatto, zero comodità, solo che tribolazioni e sacrifici, e tu pensi da dove viene fuori il grande runner, il grande atleta, dalla comodità e dal consumismo a l’occidentale? Si, sai che non lo sapevo. Ma poi, scartabellando e rileggendo ritroverò forse anche la storia di Paavo Nurmi, il runner finlandese uno dei più grandi di tutti i tempi. Sentirete cosa diceva Paavo circa 1 secolo fa. Non diceva cose tanto diverse dai grandi runners dei nostri tempi. Esatto, per emergere negli sport di fatica non bisogna aver avuto a che fare con la vita comoda) Geoff Roes era nome sconosciuto e non solo in Italia, ma anche in America, tranne qualche addetto ai lavori, non conoscevano chi era. Geoff, prova a partecipare per la prima volta a una gara ultratrail, la Miwok 100 miglia, (160km più o meno) e fa da subito 3° posto. Poi, si iscrive a un’altra ultratrail, arriva primo, la gara è la Wasatch Front, ma a quella gara, quel anno, la concorrenza non era di alto livello. Sta di fatto che, l’anno dopo, visto il bel terzo posto dell’anno prima alla famosa Miwok 100, ebbene si prepara bene, e scientificamente, con tanto di programma e di tabelle, ma non tanto per vincere la gara, ma per entrare dentro nei primi dieci e così da aggiudicarsi a gratis il pettorale per la più famosa corsa Trail del mondo, esatto, la Western States (vale a dire la Maratona di New York del Trail) Gara a numero chiuso e che si snoda sulle montagne e nei boschi della California. Aveva puntato tutto l’allenamento incentrato su quella Miwok 100 e solo per riuscire a aggiudicarsi il pettorale alla Western States. Alla partenza sapeva di non aver trascurato nulla, e si sentiva in gran forma atletica, come mai si era sentito prima, invece, esatto, dopo 60km s’è fermato e si è ritirato. (qualcosa ne so, anche se poco qualcosa ne so. L’anno prima avevo fatto più di 57km e 1° posto di categoria alla gara 6h di Val Rendena, grazie anche a una scarsa concorrenza di alto livello. Gara che avevo partecipato e senza allenamento particolare. Mi sono iscritto l’anno dopo e con un po’ più di allenamento, pensavo di fare ancora meglio, arrivare a 60km. Invece, forse partito con andatura più allegra di quel che era l’effettiva forma atletica, dopo due ore ero messo male e mi sono “ritirato”. Mi sono riposato a l’ombra sotto l’albero e per tagliare il traguardo solo allo scoccare delle sei ore) Ebbene, Geoff Roes, da quel fallimento ne esce sconvolto, va talmente in crisi che, per qualche mese, smette perfino di correre, aveva perso la fiducia delle sue capacità d’atleta e di runner. In Alaska, dopo un periodo più o meno lungo senza correre, un giorno, si rende conto di quante montagne ci stavano a vista d’occhio, così senza programmare nulla, una curiosità che lo spingeva a uscire a correre e per arrivare sopra una montagna che non conosceva e arrivare la in cima attraverso sentieri che non conosceva. Una cosa senza minimamente pensare a l’allenamento, una cosa fatta solo su la spinta della curiosità, senza stare a vedere il ritmo, quel che ne veniva fuori sarebbe andato più che bene. Poco o tanto tempo, veloce o lento, non erano più una cosa che lo assillavano. Da be e bella aveva buttato via tutti gli appunti degli allenamenti precedenti e tutte le tabelle studiate l’anno prima. Finito il turno di lavoro di cuoco, si metteva le scarpe e preso un sentiero voleva vedere dove finiva o anche e solo per arrivare in cima alla montagna. Così, un correre e solo per il piacere di correre, non un correre finalizzato e che doveva venir buono a qualche gara. (correre per finalizzare una gara, o correre per migliorare la propria caratura, ebbene, dice che, questo questa cosa non si chiama correre ma si chiama allenamento, un impegno, un’altro lavoro. Esatto, correre per piacere e non una cosa per riuscire a raggiungere un qualcosa, ma correre in libertà e per il solo piacere di correre sui sentieri in mezzo al bosco) Dice che quel periodo dopo la delusione patita a tal gara, sono stati mesi e mesi che usciva a correre senza uno scopo ben preciso, usciva a correre e solo perché correre nel bosco lo faceva stare bene. Quando magari, a volte, incontrava altri trailrunners, si attaccava a loro e faceva quello che facevano loro, così per stare in po’ in compagnia. Incurante se stava correndo piano o che gli cambiava programma. (l’altro giorno incontro Fabio di Ciliverghe è lì in Valletta di Virle, ebbene, pur essendo di caratura tre volte superiore a quella del sottoscritto, Fabio, ha abbandonato il suo programma è mi ha fatto compagnia e fino a Gazzolo. Ma vi ricordate di quando vi avevo raccontato di Massardi, che aveva abbandonato il suo programma di quella sera e per correre in compagnia del sottoscritto? e anche se per stare in compagnia ha dovuto rallentare di molto l’andatura, i grandi runners sono anche questo. Quelli che seguono pedissequamente le tabelle, senza dar ascolto al piacere del correre ma ligi al dovere del allenamento di tal giorno, difficilmente arrivano a grandi risultati e che durano nel tempo. La persona è fatta di muscoli si, ma anche di un cervello e di un anima) Geoff Roes diceva che correre senza meta nel bosco era diventata per lui come una droga, aveva bisogno della sua dose giornaliera di corsa nel bosco. Incapace di stare un giorno senza correre nel bosco e, incapace di stare un giorno senza di salire su in cima a una montagna. Prima correva solo per preparare le gare, adesso aveva scoperto il correre per il solo piacere di correre, cosa che lo faceva star bene. Prendendo un sentiero che non conosceva, gli capitava a volte, di ritornare dopo sei sette ore di corsa e disidratato, perché le uscite erano sempre solo con l’essenziale, senza zaino e anche senza borraccia. A volte, ritornare col buio e senza nemmeno una torcia. (qualcosa ne so, anche se poco qualcosa ne so, e quando ritornavo a casa e li vedevo preoccupati, stavano a aspettarmi con la paura che mi fosse capitato qualche imprevisto, qualcosa di brutto, al ritorno li rincuoravo, gli dicevo: ma non dovete preoccuparvi, sapete che sono un esperto della corsa di sopravvivenza. Non state a pensar male, a casa ci arrivo sempre. Ma mai sono riuscito a convincerli, se tardavo e diventava buio, a casa, la paura della brutta cosa diventava forte, e ancora adesso è così) Poi, l’organizzatore della gara Wasatch Front, (la gara che aveva vinto l’anno prima) gli dice che non può stare a casa, che è giusto presentarsi al via, per il rispetto degli altri partecipanti. Dargli la soddisfazione che se uno di loro arriva primo, non ci sta la scusa che però tu non eri li al via. In pratica gli dice: da campione uscente non puoi non presentarti al via, cosa così non è giusto. Va be, l’anno prima erano stati gentili con lui e anche se era un semisconosciuto, non poteva non ricambiare la gentilezza. Ebbene, a dispetto de l’anno prima, al via ci stavano anche tra i più forti trailmanrunners d’America (non metto tutti i nomi, sai il permalosimo magari arriva anche fino oltreoceano) e anche l’ultimo vincitore della famosa Western States Californiana anche lui è lì al via, e anche mr. 100 miglia è lì al via e dopo la gara racconta. Mr. 100 miglia, esatto, il famoso trailmanrunner Karl Meltzer, racconta: subito dopo il via, senza guardare in faccia nessuno, (carissimi queste sono belle storie, altro che gare su strada) Geoff ha iniziato a un ritmo che subito ci ha lasciato tutti dietro. Che tra me e me pensavo, a quel ritmo dopo nemmeno 1 ora lo trovo ai bordi e ritirato. Le cose si stavano mettendo come avevo immaginato, (sempre tal mr. 100 miglia a parlare) miglio dopo miglio recuperavo minuti su minuti, e arrivatogli vicino, a nemmeno cinque minuti di distacco, pensavo che oramai era fatta, che Geoff si era cotto a puntino. Invece, è stata che, al ristoro del 75esimo miglio, (120km di gara più o meno) Geoff, invece di fermarsi al ristoro, va diretto al mio team assistenza (team assistenza quello di mr. 100 miglia e che seguiva al secondo posto) Geoff va lì dal team di mr.100 miglia e gli dice in tono baldanzoso: dite a Karl che fino a adesso ho fatto solo che riscaldamento. Non era una spacconata, nelle ultime 25 miglia (40km più o meno), e al ben più famoso Karl, che seguiva secondo posto, è stato capace di rifilargli ben 42 minuti (1 minuto a km più o meno) e nonostante che Karl continuasse a spingere sempre più e che ha battuto il suo personale che aveva di questa gara. Esatto, non è che il secondo è andato piano, è stato Geoff a corre forte. Il terzo classificato Hal Corner che era anche il vincitore della ultima Western States. (ma della Western States merita capitolo a parte, di questa gara ci sono leggende su leggende, belle leggende che magari un giorno, si sa mai, trovo magari il tempo di raccontare, altro che NYCM) Ebbene, non è stata spacconata, Geoff va a vincere la gara battendo anche il record della gara che apparteneva a quel mostro sacro del Trail che di nome fa Kyle Skaggs. Ma non è tutto, dopo, da quel momento, per Geoff inizia un periodo di trionfi. Son passate solo due settimane e Geoff Roes domina un’altra gara trail: la Bear 100 miglia dello stato dell’Utah, e anche qui stabilendo il nuovo record della gara. 1 mese dopo si presenta al via della Mountain Masochist, nello stato della Virginia, che lui dice: gara corta dove serve essere veloci, una gara di trail di montagna di 50 miglia, 80km più o meno. Seppur quasi un anno senza fare ripetute alla velocità, strapazza il favorito Valmir Nunes, spazzando via anche il vecchio primato della gara, migliorando il precedente record di più di 20 minuti. Dopo tutti questi successi, Geoff a cominciato a farsi una domanda, ma da dove mi arriva tutta questa forma atletica? La risposta che si dà Geoff Roes sembra assurda, però potrebbe essere anche vera, più che vera. Nel senso che, dice: prima del ritiro alla Miwok 100 miglia, correvo sempre da solo e in solitario e seguivo maniacalmente le tabelle di allenamento prefissate, e anche ogni mercoledì le ripetute, cosa che non ho mai mancato di fare fino a 1 anno e mezzo fa. Dopo la batosta di Miwok, quando dopo mesi ho ricominciato a correre, uscivo anche a correre e con chiunque me lo chiedesse. Non mi ponevo il problema che andavano troppo a piano, mi adeguavo al loro ritmo e ero contento e felice così. Ma cosa che non t’aspetti, avendo abbandonato ogni assillo di allenamento specifico, di tabelle e programmi da rispettare, ecco che, sono migliorato di molto oltre che in fatto di muscoli, di come sono dentro, ho cambiato la visione di vita, vedo le cose sotto un’altra luce e il bello è che, sono migliorato sia in resistenza che in velocità. (alla faccia del allenamento scientifico, quello dei grandi coach) Vi sembrerà cosa da non credere, una favola, ma quando gareggio, adesso mi sembra che assieme a me ci stanno tutti quei runners che gli facevo compagnia nei loro allenamenti, quando sono in difficoltà sento la loro presenza che mi viene in soccorso, e che con la presenza del loro spirito mi spingono e mi aiutano a arrivare al traguardo. So che questa può sembrare una filosofia new age da quattro palanche, ma quello che vi dico (è sempre Geoff Roes a parlare) di abbandonare il devo fare per forza, e ascoltare dove vi porta il cuore, di andare incontro a un altro approccio alla corsa in mezzo al bosco, un rapporto amichevole, come quello che ci sta tra due amici. Ovvero, una corsa non dettata dalle tabelle di allenamento o del risultato a tutti i costi, ma una corsa per il piacere di correre e stare in mezzo alla natura, una natura che è solo che nostra amica. Prendete un sentiero e correte sul sentiero e fino in cima alla montagna, il giorno dopo prendete un altro sentiero e arrivati su in cima a altra montagna dove vi ha portato quel sentiero, al ritorno, pensate a l’altro sentiero che farete domani e per arrivare ancora in cima alla montagna, così, giorno dopo giorno, settimane dopo settimane, mesi dopo mesi. Una volta che vi siete innamorati di questo modo di correre nel bosco, senza costrizioni e tabelle e programmi, cercate di trovare altri runners e di fargli conoscere anche a loro, fargli conoscere questo modo di correre e senza assillo di rispettare programmi e tabelle, così, esatto, correre a sensazione e per il piacere del momento. Questa di correre ascoltando cosa ti dice il tuo spirito trail non è difficile, almeno, per me è stata cosa che m’è venuta naturale, che non ho dovuto impormi a tutti i costi. (la corsa a piedi non è un lavoro, che li devi e per forza fartela andar bene, lo fai per la tua famiglia di subire e di fare anche sacrificio, ma praticare un hobby e andare fare cose che ti ordina la tabella e anche se non ti piace, ma che senso ha? che devi stare ai comandi della tabella, ma che non hai tanta voglia, ma secondo te, ha senso? Ma secondo te, fare una cosa che ti pesa, può farti migliorare? Carissimo, cosa così va che ti logora in poco tempo, in pochi anni e, addio al runner che eri) Alla prossima (mauro)

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